Inflazione e contratti
MARCO LEONARDI
La politica monetaria di questi anni, almeno per ora, ha avuto successo: l’inflazione è scesa senza la minima recessione. Parte del successo è però dovuto alle regole sui rinnovi dei contratti collettivi nazionali (CCNL). Dal 1993 (e poi dal 2008) i CCNL non adeguano più i salari all’inflazione ex-post – perché altrimenti si crea una spirale tra prezzi e salari. Stabiliscono invece l’aumento dei salari nei tre anni seguenti in linea con l’inflazione prevista ex ante. Le parti sociali guardano all’inflazione prevista dall’ISTAT per i tre anni successivi (IPCA) e fissano così l’aumento dei contratti triennali.
Questo sistema ha contribuito non poco a sconfiggere rapidamente l’inflazione con delle conseguenze però sul valore dei salari. A oggi hanno perso il 9% in termini reali. Nove percento è la differenza tra le retribuzioni di fatto che in media nel periodo 2020-2023 sono salite del 8% mentre inflazione saliva del 17%. Oecd proprio ieri ha sottolineato che i salari crescono meno in Italia che in altri paesi.
Non tutti i salari però hanno perso nello stesso modo. Dipende da quando è stato rinnovato il contratto nazionale e dal settore di appartenenza. Alcuni contratti recuperano valore ex post. I salari nell’industria probabilmente recupereranno tutta l’inflazione mentre i servizi e il pubblico impiego no. L’aumento improvviso dell’inflazione ha comportato un salto nelle previsioni di inflazione e quindi nel valore dei rinnovi. Se un contratto è stato rinnovato usando la previsione di inflazione nel giugno 2021 cumulata sui 3 anni seguenti era di 3.4%. Se invece il rinnovo ha usato la previsione di giugno 2022, questa era di 9.2%.
Differenze notevoli nei rinnovi
La differenza è notevole. I primi CCNL hanno avuto € 80 mensili di incremento a regime mentre i secondi circa € 200. E non è finita qui perché poi alcuni settori recuperano ex post, altri no. Anche quelli che hanno usato la previsione “più alta” di giugno 2022, a consuntivo l’aumento di inflazione non è stato del 9.2% ma ben del 15,7%. Come si recupera la differenza? Dipende crucialmente da quale settore sei e da come è scritto il tuo CCNL.
Il contratto dei metalmeccanici, che pure è stato rinnovato in un periodo “sfavorevole”, recupera l’inflazione ex post ogni giugno. Quindi alla fine recupererà tutta l’inflazione. Quello dei chimici non è automatico ma comunque alla fine del triennio (2024) negozia un recupero complessivo. Ma il CCNL del pubblico impiego (e anche quello del Commercio) sono stati rinnovati molto in ritardo. Inoltre il contratto del pubblico impiego non prende in considerazione l’indice IPCA dell’Istat ma segue una contrattazione “politica”.
Cinque mesi fa il settore pubblico ha rinnovato in grande ritardo i contratti 2022-2024 al 5,78%. In questo caso è probabile che l’inflazione non verrà mai recuperata. Lo stesso può dirsi dei contratti nei servizi.
Cosa sono i salari piatti in Italia
Quando si parla di salari piatti in Italia bisogna fare una distinzione fondamentale. Si tratta dei salari dei servizi e del pubblico impiego. Non si tratta dei salari dell’industria. Se prendiamo le retribuzioni di fatto (cioè CCNL e contratti aziendali), fatto 100 il 2001, in 23 anni il salario è aumentato del 75% nell’industria. Nella PA e nei servizi è aumentato solo del 45%, 30 punti percentuali in meno. La forbice si è aperta in particolare dal 2010 in poi.
Se stiamo a questi ultimi 3 anni, l’aumento dei salari nell’industria tedesca e francese sono simili a quelli di industria italiana. Nel settore pubblico e nei servizi gli aumenti sono molto maggiori. In Germania sono del 16%, quindi al pari con l’inflazione, in Italia del 7%.
I contratti aziendali, hanno recuperato quello che non è stato ottenuto attraverso i contratti nazionali? Lo spazio dei contratti aziendali è quasi raddoppiato negli ultimi anni ma sono presenti quasi esclusivamente nell’industria e nelle grandi aziende. Anche le banche (e le utilities spero che lo faranno), quando hanno voluto dividere gli ottimi profitti di questi anni lo hanno fatto attraverso i contratti collettivi nazionali, e non aziendali.
Il sistema dei CCNL e le sue diseguaglianze
Il sistema dei CCNL ci ha salvato dall’inflazione ma i costi sui salari dei lavoratori sono distribuiti in maniera diseguale, in particolare l’andamento storico dei salari nel pubblico impiego devono suscitare una riflessione se non si vuole perdere gran parte dei tecnici comunali, degli infermieri pubblici e degli insegnanti.
Il problema è che mancano i soldi per il pubblico impiego, ma, se uno guarda gli studi del CNEL e di REF, c’è stato un periodo dal 2000 al 2010 in cui gli stipendi del pubblico impiego crescevano come quelli dell’industria. Per ironia della sorte ciò avveniva grazie al contributo degli enti locali che potevano aggiungere al CCNL uno stipendio accessorio, a valere su entrate locali proprie. Invece di discutere dell’autonomia differenziata, che io abolirei anche solo per il caos regolamentare che minaccia, si potrebbe tornare al quel sistema con dei limiti precisi.
Pubblicato su Il Foglio il 11.07.2024